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Mancanza

vorrei non dover più scrivere “mi manchi”, certo significa che senza di te non so più essere una, intera, sono solo un pezzo di me, sbocconcellata e riarsa, in balia di correnti di nostalgia nuove e sconosciute. Ma vorrei non dirlo più ed averti sempre a portata delle mie carezze. Sentire la tua voce negli angoli delle stanze, poterti chiamare e vederti arrivare subito con uno dei tuoi sorrisi, talmente preziosi da essere quasi fragili. Vorrei non dire mi manchi ma potermi svegliare al mattino con un tuo bacio. È talmente semplice questo pensiero che sembra assurdo anche scriverlo. Vorrei che le tue braccia mi nascondessero al mondo e a me stessa, che mi stringessero finché io ne risulti cambiata e in grado di accettarmi per come sono, che cullassero la mia stanchezza. Non vorrei dire mi manchi perché significherebbe che sei sempre con me. Mi manchi vuol dire che ogni mio respiro rincorre il tuo, che non posso pensare ad un’esistenza in cui tu non ci sia perché non avrebbe più senso e forma. Eppure non vorrei dirlo, vorrei allungare la mano e stringere la tua.

Diario di Alice qualsiasi giorno qualsiasi luogo.

sezione f

Ho dato il presente in pasto al passato, tutto cambia velocemente in una girandola frenetica, ma non i ruoli tra le persone. Io vittima mi guardo i piedi allineati, patetici, mi dici: perchè non mi guardi? E ti guardo allora e precipito in quei giorni palude, nei tuoi occhi di biglia verde e dentro ci sono ancora le stesse isole di buio, negli stessi punti. E questo toglie il fiato. E rimani carnefice anche quando sei tu a chiedere aiuto. In un secondo ci incastriamo perfettamente nel ricordo di quello che eravamo e io sono di nuovo la bambina sola, intensa e famelica, abbandonata e tu, la tua risata. Sono uno specchio comodo in cui specchiarsi, persino ti assomiglio, con questi colori che ci portiamo da sempre addosso, mentre spii le mie reazioni a te, e io non sono mai uscita da quel banco, ingrassando ogni giorno un po’ di più fino a esplodere, pezzi di me come coriandoli unti di cui nutrirti. E dopo sempre gli stessi errori, sempre amori ciechi. Cadono le foglie come un sipario giallo, vortica lì in mezzo un abbraccio fuori tempo in cui soffoco una nausea lunga una vita, la mia, la tua, così diverse, il cuore non è in grado di invecchiare. Sento il bisogno di stringere forte per tornare dentro quella bambina che ero e proteggerla finalmente. E poi oggi. Oggi è un fango antico, penso pensieri carnivori, mi nascondo nei lunghi capelli che avevo e che non ci sono più, non c’è protezione, non c’è rete, oggi mi avveleno con le mie lacrime finchè, quando avrò di nuovo gli occhi asciutti, tornerò fuori a chiedere amore con la mano tesa. Vorrei amare me stessa con la stessa cura che ci metto in quella mano tesa, un’elemosina continua di quello che io ho già dato. Di me non rimane quasi più niente.

Charlie don’t surf. Cattelan

Incontro

Alice sedeva su una panchina, le foglie degli alberi la proteggevano dai raggi di sole che si rincorrevano sul suo vestito verde scuro. Leggeva un libro, concentrata in se stessa, dentro alle pagine come dentro una scatola morbida, i rumori che si facevano lontani e sempre meno consistenti. Le ossa calde, le labbra che mormoravano alcune parole, per fissarle nella memoria. La palla di un bimbo le sfiorò i piedi, un attimo solo e poi una piccola mano si chinò a raccoglierla, lei fece appena in tempo a vedere il bagliore rosso della sua maglietta rossa mentre tornava a correre con i suoi amici. Qualche foglia si staccava dagli alberi ai soffi del vento, cauto sentore della stagione che presto sarebbe cambiata, ma non ancora, non subito, sulle foglie un primo vago rossore di timidezza per l’arrivo dell’inverno rude, un velo di giallo, per l’invidia di chi ancora si abbracciava nei giardini senza dover pensare alla fine dell’estate, come invece facevano loro. Serse camminava lungo il muretto, come sempre pensava qualcosa, guardava lontano, aspettando il tramonto e il suo sguardo colava lungo i mattoni rossi dei palazzi accarezzando ogni cosa come se gli appartenesse. Una mano in tasca. Il cuore sotto gli strati dei vestiti batteva in sordina come una piccola barca a vela nel tumulto rosso delle vene. Nessuno vedeva Alice, nascosta tra le righe nere del suo libro, nessuno vedeva Serse nella sua camicia troppo grande. Quando Serse arrivò alla panchina dove Alice era seduta, seguì con lo sguardo una foglia che andò ad appoggiarlesi in grembo. Gli venne voglia di sedersi al suo fianco, di raccoglierla e appoggiarla sui suoi capelli. Era fermo a due passi da lei. Un momento che tremava senza contorni in mezzo a milioni di altri momenti qualunque. Alice alzò lo sguardo e lo vide. Non distolse gli occhi da lui e i suoi occhi erano pieni di colori in movimento, per un attimo a lui parvero verdi ma dopo un secondo quella sensazione gli sfuggì e gli sembrarono castani, azzurri. Voleva aspettare per vedere se mutavano ancora. Gli sembrò che accennasse un sorriso, ma forse era solo un’impressione, si voltò per vedere se per caso stava sorridendo ad un altro. Quando si girò, Alice aveva chinato di nuovo gli occhi sulla sua pagina, era arrossita appena, ‘ti prego guardami ancora’ non potè fare a meno di pensare Serse. Alice parve sentire e lo guardò ancora. Gli occhi scuri, quasi blu. Serse trattenne il respiro. Alice nel frattempo stava vedendo proprio lui, stava pensando ‘chissà come bacia quest’uomo?’, e un piccolo volo di farfalle andò a incresparle il ventre. Un pensiero veloce, inaspettato, potente. Anche Alice trattenne il respiro. Serse si guardò i piedi, incerto se fare i due passi che lo separavano dalla sua panchina, e dirle cosa poi? Una sconosciuta in un giorno di sole. E se nessuna di quelle sensazioni fosse stata reale, se si fosse ingannato? La guardò nuovamente, gli occhi ora verdi chiarissimi, con quell’ultimo sole che ci giocava dentro. Serse riprese a camminare, senza voltarsi indietro, non era successo niente in fondo, tutto tornava come prima, i soliti pensieri, le cose da fare, il cuore aveva perso appena un battito. Alice aprì la bocca, cosa poteva fare d’altronde, chiamarlo? Uno sconosciuto in un giorno di sole. Guardò il libro, le righe si confondevano l’una con l’altra, una risacca di parole, lo chiuse con un colpo secco. E si alzò. Non lo vedeva più, si mise a correre, senza pensare a niente, senza un perchè che le ancorasse i piedi al momento precedente. Vento, foglie e sole. Lo vide di spalle, con la sua andatura morbida, dinoccolato, gli si mise davanti, senza fiato, gli guardò la bocca e con la mano gli strinse un polso.

(dedicato a Virginia, ovunque sia. Dedicato a ottobre)

la foto: panchina sul Po

altlena2Per sconfiggere il buio bisogna cercare la luce e a volte basta guardare tra le catene di un’altalena, l’orizzonte che scende mentre l’aria trasporta in alto il mio cuore, accarezzandomi le gambe con un soffio caldo, scompigliando i miei capelli aspri e nodosi come i rami dei gelsi. Dietro ogni nube splende un grande sole, aspetta solo di poter fare capolino e di riuscire a scaldarmi là in fondo dove ho stipato il sottile veleno della paura insieme a fiumi di inchiostro. Alla fine di tutte le notti arriva la pace, l’amore che inizia a circolare nelle vene e raggiunge tutti gli angoli anche quelli che non sapevo di avere, dietro i miei occhi chiusi siamo in due, in un abbraccio infinito da schiantare mille muri. L’altalena mi accompagna come un tappeto volante attraverso tutte le epoche fino a ritrovarmi guarita e bella e forte. Le parole diventano un mantello con cui sentirsi regine, nere lettere sovrapposte all’ argento della luna, e nasconderci entrambi nel nostro infinito splendente.

Iani

images (3)Nella galleria degli specchi ci sono io a tutte le età: bambina fantasma dal cuore sbriciolato, vecchia con i capelli aggrovigliati, amante rannicchiata e girata di spalle. I miei piedi non lasciano orme. Io accolgo conchiglia le urla senza saper urlare, senza essere mai vista, mai amata di un amore preciso, desiderato. Provo a esistere ma gli specchi confondono,  Non so più a chi appartiene il riflesso, a chi appartengo io, forse solo al passato, sfracellato al primo tentativo di giocare all’amore, su un sedile ghiacciato nel primo di mille novembre.  Poi solo cadute. Icaro, Calimero, falco pulcino, un fardello troppo grande sulle mie piccole spalle. Non è colpa mia se il bisogno d’amore inquina il mio modo di amare. Non è colpa mia se non so lasciare andare per paura di non saper camminare.  Le accuse e i rifiuti, gli abbandoni quotidiani, ogni volta che ho sentito di non aver diritto a niente. Le lacrime nere di me. Ciò che di me é ancora vivo si lascia masticare insieme alle troppe parole. Vorrei solo la pace e che dallo specchio la bambina fantasma potesse perdonare il suo futuro.

(Nella foto Lady blue Carolyn Carlson)

farfalle

farfalle

Siamo cielo e farfalle, blu profondo con radici nelle nuvole. Sull’altalena degli anni dondoliamo noi stessi per rubarci a vicenda un sorriso che ci tenga compagnia, nascosto in fondo a un taschino, per scavalcare tutti gli ostacoli, per scansare tutti i sassi lungo il sentiero. Ti offro quello che sono, diamante sepolto in giardino, calce staccata dai muri, anima stracciata e trasparente. Ti offro i miei ricordi affastellati uno sull’altro, spesso distorti dai miei desideri e bisogni in un caleidoscopico vortice della mente. A volte mi osservo. Guardo me, seduta tutta la vita ad aspettare, le spalle chine, abituata da sempre a guardare me stessa aspettare. Il desiderio d’amore mi ha spaccato le vene, mi ha tante volte chiuso la gola permettendomi respiri piccoli e veloci, e io ho voglia, invece, di respirare forte, con le braccia spalancate contro il cielo. Voglio solo smettere di essere dimenticata, voglio che la mia vita sia reale e cominciare, anche se in ritardo, a volare. Cielo e farfalle. Amore davvero. Il passato l’ho forgiato a mia immagine e somiglianza, l’ho plasmato inventandomi dettagli del cuore che forse non esistevano. Ecco, ho aggiunto forse, è più forte di me. Voglio amore, mio. voglio che la coperta dell’amore mi scaldi tutta e non mi lasci fuori i piedi o le spalle, sempre troppo corta. Però io sono solo questo, un’orfana, una bambina che canta il suo scuro canto da esule, solo questo ho da offrire. E invece non mi rassegno al naufragio, io l’amore lo chiedo ancora, metto il mio cuore allo scoperto, incrostato dal sale di vecchie lacrime, scopro il mio sguardo striato, di vetro, amore per me ti prego, dammi l’amore che mi faccia volare. Cielo e farfalle. Io lascio scorrere tutto quello che posso, che sono capace.

Tu. Ed. Io

Non dimenticarti di me

perché altrimenti non esisto,

soffia ancora sul mio viso

il pulviscolo del tuo respiro.

Ama ogni mio sorriso mentre accarezzi questa pelle lunare

affonda le tue mani dentro di me

con solide radici

che mi tengano in equilibrio

mentre dondolo felice nei tuoi abbracci.

Non dimenticarti di me

ma segui all’infinito i miei contorni

ridisegnandomi confini confusi nei tuoi.

Eccomi, conchiglia stella schiusa

per te, stringi la mano e portami via.

sono ancora qui

the-four-seasonsSono ancora qui. Il tempo per resistere non finisce mai, e per sentire quanto elastico e duttile sia l’ interno di me. L’insoddisfazione che a scatti mi ingorgava il cuore, che arrivava a serrare forte il respiro e rendermi difficile il presente e che sempre ha contraddistinto la mia esistenza era una nebbia inconsistente, era un difetto, semplicemente. Non mi rendevo conto di quanta strada avevo fatto, di quanto lavoro avevo messo da parte e di che qualità avesse. Non è la prima volta in cui mi trovo a dover riconsiderare tutto dal principio. Decisamente non è la prima volta. Fa molta paura dover cambiare rotta, perdere i punti di riferimento, mettere via le carte nautiche e rifare tutti i calcoli, riguadagnare i percorsi, ma tant’è si deve fare. Vorrei semplicemente avere quello che avevo prima, rendermi conto che era un periodo fortunato e che stavo bene. Non è mai abbastanza forte questa sensazione. Passano le stagioni, e io cambio, mi trasformo. Ma resisto, e questo mi fa sentire forte, tutto tornerà al proprio posto come un enorme puzzle, tutto troverà collocazione e consolazione. Io ce la posso fare, ancora una volta.

La bellezza

20200223_104127la bellezza é qualcosa che rincorro da tutta la vita, ho sempre amato la perfezione di certi momenti, di certi incontri.  Mi sembra di vivere spesso con la bocca piena di sabbia, invece anche io ho una bellezza che qualcuno, qualche volta, vede. La bellezza che diceva Stefano nella sua lettera, é quella che vorrei possedere, quella che mi sfugge continuamente e che lui aveva fissato un momento con i suoi occhi preziosi che vedevano tutto.  Mi manca molto Stefano,  il fatto che non ci sia, perché anche se stavamo lunghi periodi senza afferrarci, sapevo che bastava allungare la mano ed era lì.  Bastava una parola o un click dei suoi occhi, per fermare eternamente i momenti.  Io vorrei essere in quelle sue parole sbiadite, vorrei il conforto del vento tra i capelli. Vorrei essere tutto, almeno per un secondo. Vorrei l’equilibrio delle pietre e invece ho solo gli spigoli  vivi  e la pelle scabra priva di carezze. Sono come una barca nel bosco, lontano il tocco del mare, le sue mani d’argento. Stefano un giorno ti riprenderò e sarà bello essere per sempre amici e per sempre bella.

new age

bacioCongelo il mio amore, metto il cuore nella neve.

Non è la prima volta nella mia vita che da un giorno all’altro tutto cambia, credevo di avere imparato bene la lezione, di esserci abituata e invece non ci si abitua mai. La paura che sempre trema dentro di me, quel baluginare continuo dell’anima esistono per questo motivo, perchè so per certo che tutto può cambiare. E’ successo ancora. Ed ora che tutto è in pericolo, che tutto è rimandato per chissà quanto, mi rendo conto di ciò che avevo e vorrei averlo valorizzato di più. E’ talmente facile concentrarsi su quello che manca, su quello che non si ha, fare i capricci nel proprio bozzolo di infelicità; invece bisogna ribaltare del tutto la prospettiva. Godere profondamente del presente quando lo si può stringere tra le braccia, degli abbracci, dei baci, delle strette di mano, dei balli, delle canzoni, dei sorrisi visti da vicino. Volta la carta ancora una volta, lo dico a me stessa, rimetti a fuoco quello che stai guardando, sali in piedi su una sedia e grida forte davanti al tramonto, grida che resisti e che ce la puoi fare. Il mio cuore nella neve dei giorni rossi, chiusi al mondo, senza parole, senza sapore.

Mi manca l’aria.

Mi manco io.

(l’immagine è un graffito apparso per strada, il bacio di Hayez rivisitato)