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Non sembra un castello di carte?

marzo 18, 2018

Non sembra un castello di carte? Piccolo Egon che hai dipinto i miei lati oscuri.

Oggi chiudo i capelli bagnati di pioggia nel bavero del cappotto, riprendo il mio fiato, mi accudisco di notte.

Non ho mai pianto davanti al mio amico, finora, il mio amico mi ha sempre fatto ridere, di certo non si spaventa, ma quando ciondola in mezzo alla strada e si piazza a gambe divaricate per essere un po’ più basso e guardarmi quasi negli occhi, è il suo modo per consolarmi, per abbracciarmi. Registro questo suo gesto e lo interpreto come un abbraccio stretto, va bene così. Giriamo in mezzo alla piazza avanti e indietro, qualcuno ci guarda di sfuggita, e passa oltre, sostanzialmente a nessuno è mai fregato niente. Sono passati solo pochi giorni ma il linfonodo sentinella che abbiamo piazzato entrambi sul cuore è scattato di nuovo, lampeggia la lucina “qualcosa non va, ripara l’errore”, e allora ci vediamo. L’altra volta l’ho avvertito io il pizzicotto al cuore, toccava a lui essere aperto e riparato, stavolta a me, il ruolo è interscambiabile. Il castello di carte si fa grande, incombente mentre gli spiego, mentre racconto a lui, mentre gli mostro una storia assurda, al mio amico, mentre mi ingorgo di parole a cui io stessa, mentre lui me le rimbalza, non riesco più a credere. Il mio amico, quel pezzettino di me che mi osserva da sempre, agire bene e agire male, il mio piccolo grillo parlante, il castello di carte mi sta mangiando viva, mentre la sua mano si chiude sulla mia spalla e con questo capisco ancora una volta che il capitolo è chiuso, che era tutto nella mia mente. Il castello di carte mi rovina addosso e improvvisamente non c’è più nulla da fare, da ragionare, le parole come biglie consuete, tornano all’interno delle nostre bocche, sigilliamo con un bacio sulla guancia. Lacrime ruvide. E ci salutiamo, e io torno alla mia macchina rasentando i muri come un cane randagio, ma andiamo! Poi ancora un po’ più giù, ancora un po’ più in fondo, l’atmosfera verde dei pozzi, la mia testa è fatta così, in basso in basso dove si respira male, dove la pelle si fa fredda, di rana, dove il petto collassa. Come il lupo che ha la pancia piena di pietre. Parolepietre. Finchè il mio amico c’è, le carte pencolano ma resistono, appena sola mi sommergono, vorrei tornare indietro e richiamarlo, ma devo fare da sola adesso. Dio che botta. Sono il sacrificio ideale, sono preda, farfalla impaurita con ali a brandelli, il bisogno di esistere ha formato la tela, ordito e trama, filo su filo, parole. Vorrei tacere per cento anni, basta parole e invece scrivo. Vorrei averne abbastanza invece. E spiego, spiego, spiego, ho sempre spiegato tanto, ho tirato gonne con le mie mani bambine, per farmi guardare, per farmi sentire, non è ancora finita questa fase, aspetto ancora sul balcone che qualcuno venga a cercarmi? Colleziono abbandoni come gli altri collezionano francobolli, li infilo come perline ad uno ad uno e mi adorno il collo. Un grido. Sto gridando, ho gridato e tu non hai sentito. Il mio bisogno si è infranto contro un muro di gomma da masticare. Non hai risposto,hai fatto finta di niente, bastava la sincerità, bastavano quattro parole che fossero oneste. Ora con le carte faccio un bel mucchietto, provo a essere ordinata, le metto tutte in fila, e sul balcone ad aspettare non ci torno più, il balcone me lo devo ricordare, la sensazione pungente, aggressiva del balcone e di tutte le attese infrante. Non aspetto più nessuno. Non devo dare a piene mani fino a non avere più niente, non devo nutrire di me, non più.

il quadro, paesaggio di Egon Schiele egon

From → rossosangue

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